Buongiorno,
finalmente è stato scoperto il vero problema che affossa le finanze dello Stato, che impedisce la crescita dell’economia, e che pesa sulle tasche dei cittadini!
No, cosa avete capito, non è l’evasione fiscale, non è la corruzione, non sono le mille cricche o le caste o - per meglio dire - le cosche.
E’ l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori: un articolo pericolosissimo, anche perché difende una razza di notori fannulloni alla quale apparteniamo tutti: quella dei lavoratori dipendenti. L’ha notato persino Emma Marcegaglia, che ha dichiarato: “L’articolo 18 è un’anomalia solo italiana”. Ma cosa c’è scritto in realtà in questo terribile articolo?
"...il giudice, con la sentenza con cui il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro".
Quindi, non è scritto da nessuna parte “è vietato licenziare i lavoratori”. Viceversa, c’è scritto che per licenziare un lavoratore è necessario che ci sia una “giusta causa” o “un giustificato motivo”. In pratica, il datore di lavoro può licenziare chi non lavora, oppure può licenziare se l’azienda non è più in grado di dare lavoro a tutti i suoi dipendenti. Questi sono giustificati motivi.
Ma il datore di lavoro non può licenziare un lavoratore perché - ad esempio - chiede l’applicazione delle norme di sicurezza sul lavoro, perché chiede uno stipendio più alto, perché è malato o perché è in gravidanza o non ha voluto concedere favori sessuali, o perché al datore di lavoro gli gira così. Tutti questi non sono giustificati motivi né giuste cause, per cui il lavoratore ha diritto di fare causa per farsi riassumere.
Perché questa forte tutela? Perché il rischio di impresa per definizione ce l’ha l’imprenditore che organizza e gestisce l’impresa, non ce l’ha il lavoratore, che esegue le istruzioni impartite accettando una remunerazione “certa” ma più bassa.
Perché questa forte tutela? Perché il rischio di impresa per definizione ce l’ha l’imprenditore che organizza e gestisce l’impresa, non ce l’ha il lavoratore, che esegue le istruzioni impartite accettando una remunerazione “certa” ma più bassa.
E il lavoro, lo dice la Costituzione, è il fondamento della nostra Repubblica, e il mezzo con il quale ci si garantisce un’esistenza “libera e dignitosa”.
Il modo peggiore per difendere l’articolo 18 è quello di farne un “totem” ideologico, magari calando le braghe su tutto quel che c’è intorno, come l’assurdità di un sistema con miriadi di contratti che tutelano solo i tanti padroncini e tengono i lavoratori precari a vita.
Anche perché bisogna capire che l’attacco all’articolo 18 è a sua volta puramente ideologico.
Scendendo infatti dai principi alla pratica, cosa succede secondo l’art. 18 quando un lavoratore viene licenziato? Se c’è una giusta causa, assolutamente niente! Anzi, se il lavoratore prova a fare causa, il giudice lo condanna anche al pagamento delle spese processuali. Cioè, non solo non sarà riassunto e non avrà una lira, ma dovrà pure pagare l’avvocato al datore di lavoro che lo aveva licenziato.
Scendendo infatti dai principi alla pratica, cosa succede secondo l’art. 18 quando un lavoratore viene licenziato? Se c’è una giusta causa, assolutamente niente! Anzi, se il lavoratore prova a fare causa, il giudice lo condanna anche al pagamento delle spese processuali. Cioè, non solo non sarà riassunto e non avrà una lira, ma dovrà pure pagare l’avvocato al datore di lavoro che lo aveva licenziato.
Non solo. L’art. 18 non si applica a tutti i rapporti di lavoro, ma solo ai rapporti di lavoro alle dipendenze di aziende con più di 15 dipendenti (ora 50 secondo le ultime bozze del governo), che sono una minoranza.
E allora, perché tanto accanimento? Poniamo qualche domanda.
Vi sembra quindi che l’articolo 18 sia il motivo centrale della mancata crescita del Paese? Secondo voi, se consentiamo anche alle aziende più grandi di non riassumere le persone licenziate perché sono in gravidanza, perché sono di una religione o di una razza che non piace all’azienda, perché non concedono favori sessuali, perché chiedono uno stipendio più alto, perché quel giorno al datore di lavoro gli gira così, questo consentirà al Paese di ripartire? Questo consentirà ai giovani di essere meno precari? Secondo noi del SIBC, quando si parla di flessibilità bisogna stare attenti perché in genere si scrive “flessibilità” ma si pronuncia “cetrioli”!
Una riflessione su ogni aspetto della questione è doverosa, purché sia priva di pregiudizi e parta dai fatti e il fatto che ci pare indiscutibile è che l’art. 18 non tutela troppo, tutela efficacemente. Per questo non va cancellato ma va esteso a chi non ce l’ha, perché lo sviluppo passa anche attraverso maggiori tutele per chi attualmente ne è sprovvisto.
Speriamo solo che nessun sindacato si faccia abbindolare perché il "partito di riferimento" appoggia il “governo della crescita”! L'importante è essere indipendenti e tutelare i lavoratori: per questo c’è il SIBC!
Buona settimana a tutti voi.