Il Cnel ha recentemente organizzato un convegno sul tema “Stati generali sul lavoro delle donne in Italia”.
Ai lavori sono intervenuti rappresentanti del Cnel, del Ministero dello Sviluppo Economico, dell’Inps, della Camera dei Deputati, professori delle Università di Piacenza e Firenze nonché rappresentanti delle parti sociali.
L’obiettivo era quello di fare una riflessione sulle ultime riforme e sull’impatto, presente e futuro, che queste avranno su una popolazione lavorativa ancora oggi in posizione di minor favore: le donne. Ciò non significa che molte delle problematiche che enunceremo nel proseguo siano esclusive delle donne, ma essendo la gestione familiare (e la conseguente conciliazione con il lavoro) un ambito in prevalenza “affidato” alle donne, queste rappresentano la categoria sulla quale pesano in maniera determinate alcune c.d. “riforme”.
Alcune delle misure adottate dal Governo Monti, per dire, hanno riguardato il mercato del lavoro, gli ammortizzatori sociali, la previdenza e il welfare sia statale che locale (L. 92/2012). Per stimare correttamente gli effetti di tali interventi - in molti casi diffusamente criticati per la sottrazione di garanzie ai lavoratori - dovremo attendere sicuramente un periodo più ampio, in quanto sotto alcuni profili mancano decreti attuativi e direttive. E’ invece interessante sottolineare la necessità di urgenti modifiche che incidano sulla conciliazione fra l’impiego, la gestione del lavoro familiare e la carenza dei servizi pubblici di cura per le categorie più fragili (anziani, bambini , persone con disabilità).
USCITA DAL LAVORO: LE PECULIARITA' FEMMINILI
Se prendiamo in esame gli anni tra il 2007 e il 2011, in Italia si assiste ad una caduta del PIL del 6,5% e una contrazione dell’occupazione di 5 punti relativamente alla percentuale di persone che svolgono una attività lavorativa. Considerata la disparità tra la percentuale di uomini occupati e quella di donne occupate (che risulta nettamente inferiore), in questi anni il fenomeno della perdita del lavoro ha interessato in termini assoluti maggiormente il genere maschile, ovvero il genere maggiormente “occupato”.
Nell’ambito femminile si assiste invece, in modo peculiare, ad un aumento delle “donne inattive”, ovvero di donne che non si propongono sul mercato (e ciò si registra maggiormente tra le donne più giovani e maggiormente istruite), e una crescita numerica di donne che scelgono di fare le casalinghe o che tornano a farlo uscendo dal mondo del lavoro.
Come mai?
La causa primaria risulta, dai dati statistici, la difficoltà nel conciliare il privato con il lavoro (67% nel 2012). Considerando la grande recessione di questi ultimi anni e la necessità di sopperire ad una disponibilità economica familiare sempre minore, spesso le donne scelgono di curare ed occuparsi personalmente della propria famiglia piuttosto che utilizzare asili nido (ove esistenti e accessibili), baby sitter, badanti ecc. In situazioni familiari particolarmente pesanti (figli o anziani con handicap), il diverso peso delle buste paga (salary gap) induce la donna ad allontanarsi dal lavoro, e facendolo in maniera volontaria, non usufruisce di alcun tipo di ammortizzatori sociali (ove esistenti e accessibili, ndr).
Un’altra causa significativa è una retribuzione non adeguata abbinata ad un lavoro poco soddisfacente. Sulla totalità degli occupati, il numero di lavoratori che possiedono un titolo di studio superiore a quello richiesto per la professione per cui sono stati assunti è aumentato in pochi anni di oltre il 600% (ne sappiamo qualcosa anche in Banca d'Italia, ndr).
Possedere un lavoro adeguatamente remunerato, ragionevolmente sicuro e rispondente alle competenze, costituisce un’aspirazione universale delle persone e contribuisce in modo decisivo al loro benessere. La mancanza di una “buona occupazione” ha senza dubbio impatti negativi sul livello di benessere, determinando una cattiva distribuzione degli impegni lavorativi che impediscono, di fatto, di fare concreti passi avanti nella conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi di vita familiare e sociale.
LE PARI OPPORTUNITA' SI SONO FERMATE?
LE PARI OPPORTUNITA' SI SONO FERMATE?
Nonostante le grandi conquiste legislative e di pari opportunità, che iniziano con l’ammissione della donna al pubblico impiego nel 1919, in questi ultimi anni il percorso pare essersi fermato. Nell’ultimo decennio la scolarizzazione femminile è molto aumentata, ma ciò non trova riscontri nell’ambito salariale: i salari maschili e femminili (che già divergono all’uscita dell’università) a cinque anni dalla laurea, sono in media di oltre 1.550,00 euro per gli uomini e circa 1.100,00 euro per le donne (una delle ragioni è la sottorappresentazione delle donne in percorsi scientifico-tecnici più retribuiti). Inoltre, l’aumento della scolarizzazione non corrisponde a un proporzionale aumento dell’occupazione. Il forte cambiamento avvenuto tra gli anni ’70 e ’80 sembra essersi fermato negli anni ’90. Il divario si aggrava ulteriormente alla nascita del primo figlio, quando più di un quarto delle madri occupate lascia il lavoro (i due terzi dichiarano di aver abbandonato l’impiego per la difficoltà di conciliare vita familiare e lavoro). Inoltre anche la condivisione dei carichi di lavoro familiare (domestico e di cura) tra uomini e donne che vivono in coppia, mostra una diseguaglianza di genere, poiché tali carichi sono assolti in maniera prevalente dalle donne.
Come affermato da più parti nel corso del Convegno, la qualità dell’occupazione di un Paese si misura anche sulla possibilità che le donne con figli piccoli riescano a conciliare il lavoro retribuito con i lavori di cura familiare. La mancanza di servizi di welfare adeguati può comportare la scelta di lasciare il lavoro in caso della nascita di un figlio.
DALL'ITALIA ALL'EUROPA
DALL'ITALIA ALL'EUROPA
Se confrontiamo l’Italia con gli altri paesi europei, l’Italia ha uno dei tassi di occupazione femminile più bassi (47% in Italia, rispetto al 62% della media UE). Anche sulla quota dei disoccupati l’Italia è uno dei paesi in cui si registra la maggiore differenza di genere.
Eppure l’occupazione femminile rappresenta un fattore produttivo molto importante per un Paese: “un aumento della partecipazione femminile fino a raggiungere la soglia del 60% di donne occupate (obiettivo di Lisbona) produrrebbe in Italia un incremento del PIL del 7%” (fonte Banca d’Italia).
Confrontando altri strumenti utilizzati nei vari Paesi europei per facilitare la “conciliazione”, le maggiori carenze italiane si rilevano nell’ambito del sostentamento di disoccupati e anziani, negli incentivi rivolti alle imprese e anche nell’istituto dei congedi parentali che, rispetto ad altri paesi europei, è più breve, poco remunerato e poco condiviso con i padri. Anche il part-time, considerando che la maggior parte delle imprese italiane sono di piccole dimensioni, è uno strumento poco utilizzato a causa degli alti costi organizzativi. La legge 53/2000 prevede dei contributi per il datore di lavoro per incentivare l’introduzione di forme di flessibilità o servizi che possano facilitare la conciliazione tra lavoro e famiglia (telelavoro, banca delle ore, orario flessibile, servizi salva-tempo, voucher babysitter, convenzioni con strutture di cura per figli minori o anziani non autosufficienti, nidi d’impresa). Strumenti ancora oggi poco utilizzati (ne sappiamo qualcosa anche in Banca d'Italia, ndr).
Lavorare su strumenti quali erogazioni di prestazioni integrative e di sostegno al reddito, sui sostegni alle donne madri, ai lavoratori diversamente abili o ai lavoratori che hanno persone disabili in famiglia, sulle strutture sociali di sostegno e sui servizi per le famiglie rappresenta quindi una condizione essenziale per la credibilità delle politiche di "benessere".
E’ indubbio che molto ci sarà da lavorare perché la “rivoluzione copernicana” di una effettiva parità tra uomini e donne sia realtà. Allo stato, la migliore sintesi dello stato dell’arte è venuto da Daniela del Boca (consigliere del CNEL) che riassume in maniera sintetica ma esaustiva la “rivoluzione silenziosa” della emancipazione della donna: La rivoluzione quasi compiuta=l’istruzione; La rivoluzione incompiuta=il lavoro; La rivoluzione “tradita=il lavoro familiare.
(a cura di Cinzia Bellisari)